Come l’amore ci cambia e ci rende più noi stessi.

È stato detto che “chi siamo e chi diventiamo dipende, in parte, da chi amiamo”. Ma è anche vero il contrario: diventiamo chi siamo sotto la luce calda dell’amore che ci circonda.

Questa bellissima osmosi è esattamente ciò che Andrew Solomon esplora in Lontano dall’albero – una meditazione affascinante e profondamente commovente sulle nostre definizioni di famiglia in evoluzione, le nostre diverse disposizioni verso la genitorialità, gli ideali duraturi di maternità e paternità e, forse soprattutto, di come la libertà dell’ identità ci unisce nelle nostre differenze.

“Niente ha un’influenza psicologica più forte sul proprio ambiente, e specialmente sui propri figli“, ha affermato il famoso psicoanalista Carl Jung, “delle vite non vissute dei genitori”. E, in effetti, la propensione dei genitori a voler vedere nei loro figli versioni migliori o più soddisfatte di loro stessi, sostiene Solomon, è un pericoloso sottoprodotto dei nostri geni egoisti.

“Nelle fantasie inconsce che rendono il concepimento così allettante, spesso è noi stessi che vorremmo vedere vivere per sempre, non qualcuno con una personalità propria. Non potendo prevedere cosa sarà dei nostri geni egoisti nei nostri figli, molti di noi sono impreparati a bambini che presentano bisogni sconosciuti. La genitorialità ci catapulta improvvisamente in una relazione permanente con uno sconosciuto, e più estraneo è questo sconosciuto, più forte è l’odore della negatività. Dipendiamo dal volto dei nostri figli che ci garantisce che non moriremo. I bambini che hanno una qualità che annulla quella fantasia di immortalità sono un insulto particolarmente profondo; ci costringono ad amarli per loro stessi, e non per il meglio di noi stessi in loro, e questo è molto più difficile da fare. Amare i nostri figli è un esercizio per l’immaginazione … [Ma] i nostri figli non siamo noi: essi portano i geni del ritorno al passato e tratti recessivi e sono soggetti fin dall’inizio a stimoli ambientali al di fuori del nostro controllo. Eppure siamo i nostri figli; la realtà di essere genitore non lascia mai chi ha affrontato la metamorfosi”.

Solomon continua a distinguere tra identità verticali, cioè direttamente ereditate, e identità orizzontali, o indipendentemente divergenti:

“A causa della trasmissione dell’identità da una generazione all’altra, la maggior parte dei bambini condivide almeno alcuni tratti con i propri genitori. Queste sono identità verticali. Attributi e valori vengono trasmessi da genitore a figlio attraverso le generazioni non solo attraverso filamenti di DNA, ma anche attraverso norme culturali condivise. L’etnia, ad esempio, è un’identità verticale. I figli di persone con la pelle scura sono generalmente nati da genitori con la pelle scura; il fattore genetico della pigmentazione della pelle viene trasmesso attraverso le generazioni insieme all’immagine di sé come persona con la pelle scura, anche se l’immagine di sé può essere soggetta a flusso generazionale. La lingua di solito è verticale, poiché la maggior parte delle persone che parlano greco alleva i propri figli a parlare anche greco, anche se la declinano in modo diverso o parlano un’altra lingua per la maggior parte del tempo. La religione è moderatamente verticale: i genitori cattolici tenderanno ad allevare figli cattolici, sebbene i bambini possano diventare atei o convertirsi a un’altra fede. La nazionalità è verticale, fatta eccezione per gli immigrati. L’essere biondi e la miopia sono spesso trasmesse da genitore a figlio, ma nella maggior parte dei casi non costituiscono una base significativa per l’identità: il colore dei capelli perché è abbastanza insignificante e la miopia perché è facilmente correggibile.

Spesso, tuttavia, qualcuno ha un tratto intrinseco o acquisito che è estraneo ai suoi genitori e deve quindi acquisire identità da un gruppo di pari. Questa è un’identità orizzontale. Tali identità orizzontali possono riflettere geni recessivi, mutazioni casuali, influenze prenatali o valori e preferenze che un bambino non condivide con i suoi progenitori. Essere gay è un’identità orizzontale; la maggior parte dei bambini gay sono nati da genitori etero e, sebbene la loro sessualità non sia determinata dai loro coetanei, imparano l’identità gay osservando e partecipando a una sottocultura al di fuori della famiglia. La disabilità fisica tende ad essere orizzontale, così come la genialità. Anche la psicopatologia è spesso orizzontale; la maggior parte dei criminali non viene allevata da mafiosi e deve inventare il proprio tradimento. Così avviene anche per condizioni come l’autismo e la disabilità intellettiva”.

Solomon non fu spinto a considerare questi come  problemi intersezionali fino a quando non ebbe in prima persona un contatto con una particolare identità orizzontale diversa dalla sua. Nel 1993, fu  stato incaricato di scrivere una storia sulla cultura delle persone sorde per il New York Times e si è immerso nel mondo dei sordi, un mondo in cui la maggior parte dei bambini sordi nasce da genitori udenti, che spesso desiderano che i loro figli abbiano un udito completo e conducano vite “normali”. Eppure si è trovato affascinato dalla vibrante ricchezza dell’identità dei Sordi mentre visitava spettacoli teatrali, club di lettura e concorsi di bellezza.

Poco dopo, un’ amica di Solomon ebbe una figlia cui venne diagnosticata una forma di nanismo. L’amica “si chiedeva se avrebbe dovuto allevare sua figlia in maniera tale che si considerasse come tutti gli altri, solo più bassa [o] se avesse dovuto assicurarsi che sua figlia avesse modelli di ruolo di persone come lei”. All’improvviso, si è rivelato uno schema – una tendenza per la cultura “normale”, inclusi i genitori di bambini con identità orizzontali diverse, a cercare di sovvertire o addirittura “curare” quelle identità – e suonava per Solomon dolorosamente famigliare considerato che lui stesso è una persona gay. Lui scrive:

“Mi ero sorpreso nel momento in cui avevo notato di avere dei tratti in comune con le persone Sorde, e ora mi stavo identificando con una persona nana! Mi chiedevo chi altro ci fosse là fuori in attesa di unirsi alla nostra folla allegra. Pensavo che se l’identità gay nasceva dall’omosessualità considerata da molti una malattia, se l’identità sorda nasce dalla sordità, anch’essa considerata una malattia, se l’identità delle persone nane nasce dal nanismo, sempre  considerata una malattia, allora dovevano esistere molte altre categorie in questo strano territorio interstiziale. È stata un’intuizione radicalizzante. Essendomi sempre immaginato parte di una minoranza piuttosto esigua, ho improvvisamente visto che ero in grande compagnia. La differenza ci unisce. Sebbene ciascuna di queste esperienze possa isolare coloro che ne sono colpiti, insieme compongono un aggregato di milioni di persone le cui lotte li collegano profondamente. L’eccezionale è onnipresente; essere del tutto tipico è lo stato raro e solitario”.

Ma nelle famiglie, sostiene Solomon, molti genitori tendono a percepire l’identità orizzontale del figlio o della figlia non solo come un problema da risolvere, ma come un fallimento personale o addirittura come un affronto. Osserva:

“Mentre le famiglie tendono a rafforzare le identità verticali fin dalla prima infanzia, molte si opporranno a quelle orizzontali. Le identità verticali sono generalmente rispettate come identità; quelle orizzontali sono spesso trattate come difetti. Nell’America moderna, a volte è difficile essere asiatici o ebrei o donne, eppure nessuno suggerisce che asiatici, ebrei o donne sarebbero sciocchi a non diventare cristiani bianchi se potessero. Molte identità verticali mettono a disagio le persone, eppure non tentiamo di renderle omogenee. Gli svantaggi dell’essere gay non sono probabilmente maggiori di quelli di tante altre identità verticali, ma la maggior parte dei genitori ha cercato a lungo di trasformare i propri figli gay in etero. … Etichettare la mente di un bambino come malata – sia con autismo, disabilità intellettiva o transgenderismo – può riflettere il disagio che la mente dà ai genitori più di qualsiasi disagio che provoca al loro bambino”. 

Poiché abbiamo osservato il potente ruolo del linguaggio in altri movimenti di cambiamento culturale e di riforma della giustizia sociale, il modo in cui parliamo di queste questioni non solo riflette ma modella anche il modo in cui le pensiamo. 

“Spesso usiamo il termine malattia per denigrare un modo di essere e il termine identità per convalidare quello stesso modo di essere. Questa è una falsa dicotomia. In fisica, l’interpretazione di Copenhagen definisce l’energia / materia a volte come un’onda e talvolta come una particella, il che suggerisce che sia entrambe le cose e postula che è il nostro limite umano a non essere in grado di vedere entrambe allo stesso tempo. Il fisico vincitore del premio Nobel Paul Dirac ha identificato come la luce sembra essere una particella se poniamo una domanda che parla di particelle e un’onda se poniamo una domanda che parla di onde. Una dualità simile si verifica in questa materia del sé. Molte condizioni sono sia malattia che identità, ma possiamo vederne una sola quando oscuriamo l’altra. L’approccio politico che sostiene l’identità esclude l’idea di malattia, mentre la medicina tende a annullare l’identità. Entrambi vengono privati di qualcosa da questa ristrettezza.

I fisici ottengono alcune intuizioni dalla comprensione dell’energia come un’onda e altre intuizioni dalla comprensione come una particella e usano la meccanica quantistica per riconciliare le informazioni che hanno raccolto. Allo stesso modo, dobbiamo esaminare la malattia e l’identità, capire che l’osservazione di solito avverrà in un campo o nell’altro e trovare una meccanica sincretica che coglie l’insieme dei dati. Abbiamo bisogno di un vocabolario in cui i due concetti non siano opposti, ma aspetti compatibili di una realtà. Il problema è cambiare il modo in cui valutiamo il valore degli individui e delle vite, per raggiungere una visione più ecumenica della persona sana”.

Avere un figlio con un’identità orizzontale molto diversa da quella del genitore, sostiene Solomon, è una sorta di specchio ingranditore per il carattere e la capacità del genitore come essere umano:

“Avere figli eccezionali esagera le tendenze genitoriali; quelli che sarebbero cattivi genitori diventano pessimi genitori, ma quelli che sarebbero buoni genitori spesso diventano straordinari”.

Ma la dinamica scorre in entrambe le direzioni:

Le prime risposte dei genitori e le interazioni con un bambino determinano il modo in cui quel bambino arriverà a vedersi. Questi genitori sono anche profondamente cambiati dalle loro esperienze”.

“L’amore può cambiare una persona”, ha scritto Lemony Snicket intendendo come un genitore può cambiare un bambino. Ma Solomon sostiene esattamente il contrario: che un bambino può cambiare un genitore, altrettanto goffamente e con altrettanta confusione, attraverso il potere dell’amore:

L’autoaccettazione è la condizione ideale per ogni persona, ma senza l’accoglienza familiare e sociale, non può migliorare le inesorabili ingiustizie a cui sono soggetti molti gruppi di identità orizzontali e non porterà a una riforma adeguata. Guardare in profondità negli occhi di tuo figlio e vedere in lui sia te stesso che qualcosa di completamente estraneo, e quindi sviluppare un attaccamento zelante a ogni aspetto di lui, significa raggiungere la vera e altruistica genitorialità. È sorprendente quanto spesso si sia realizzata una tale reciprocità – quanto spesso i genitori che avevano pensato di non potersi occupare di un bambino eccezionale scoprissero che invece possono farlo. La predisposizione dei genitori all’amore prevale nelle circostanze più strazianti. C’è più immaginazione nel mondo di quanto si possa pensare.

Ciò a cui si riduce il punto chiave di Solomon è un’aggiunta necessaria e ponderata alle definizioni di amore più importanti della storia. Nelle pagine finali scrive:

“Alcune persone sono intrappolate dalla convinzione che l’amore arrivi in ​​quantità finite e che nel nostro tipo di amore le scorte da cui attingere si esauriscano. Io non accetto modelli di amore competitivi, solo additivi. Il mio viaggio verso una famiglia e questo libro mi hanno insegnato che l’amore è un fenomeno di ingrandimento – che ogni aumento dell’amore rafforza tutto l’altro amore nel mondo”

Original article by Maria Popova

One thought on “Come l’amore ci cambia e ci rende più noi stessi.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *