Perché ripartiamo sempre da Adamo ed Eva?

Oggi si svolge a Venezia il convegno “Disforia di genere. Stato dell’arte: quello che un professionista della salute dovrebbe sapere”. Ne sono stata informata da una mamma del nostro gruppo, mamma di una bellissima bambina di 7 anni nata biologicamente maschio che vive proprio a Venezia.

Premetto che sicuramente sono felice che le asl e le usl si inizino a fare domande e pensino che sia il caso di iniziare a fare formazione e informazione ma resto molto molto molto sconcertata da come ogni volta si perda l’occasione per iniziare a parlare di varianza di genere stando al passo coi tempi.

La maniera che abbiamo noi in Italia di affrontare la questione è un po’ come quella di uno sportivo, uno sciatore per esempio, che approcciando per la prima volta una pista da sci ignora completamente l’attrezzatura moderna per indossare i primi sci di legno che sono stati creati dopo la seconda metà dell’800. E quel che è peggio: costringendo tutti gli altri intorno a fare lo stesso. Così mentre tutti gli sciatori del resto del mondo vanno veloci giù per le piste, con attrezzatura che agevola i piegamenti e protegge dai rischi, i nostri arrancano a testa scoperta, senza vestiti pesanti e con sci che tutto fanno tranne che scivolare. Risultato: una fatica snervante e un tempo infinito per arrivare a fine pista.

Si hanno oggi numerosi mezzi a disposizione per sapere come parlare e di cosa parlare. Usare questi mezzi aiuterebbe per esempio a non usare espressioni come “un’associazione di transgender”, come scrive un articolo a proposito del convegno. Qui non servirebbe conoscenza ma solo un po’ di buon senso. Quanto poco ci vorrebbe a inserire la parola “persone”? (Ma questo diciamo è il solito pressappochismo giornalistico che non credo sia dovuto a cattiveria ma proprio a una ingenua superficialità).

Ciò che più mi colpisce dell’impostazione del convegno è la totale patologizzazione della questione. Addirittura nell’articolo redatto dall’ ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri per parlare del convegno si parla di disturbo di identità di genere. Possibile che dei professionisti abbiano organizzato un intero convegno con tutte le migliori intenzioni senza aver letto da nessuna parte che il disturbo di identità di genere non esiste più dal 2013. Sono passati 6 anni. Possibile che prima di organizzare un convegno su un argomento di cui si sa poco e nulla non ci si leggano gli ultimi studi, gli ultimi approcci alla questione ma che ogni volta si riparta da zero? Possibile che non sappiano che il mondo intero sta lottando per la depatologizzazione, che molti paesi, come la Danimarca, lo hanno già fatto, che in molti paesi europei ormai si parla solo di autodeterminazione ecc. Possibile che ogni volta si perdano un’occasione per andare avanti? O è solo un problema di chi ha scritto l’articolo? Ma sono solo io a chiedere sempre la rilettura affinché non si faccia cattiva informazione senza volere?

Io credo davvero nelle migliori intenzioni di chi ha deciso di fare questo convegno. Purtroppo so per esperienza personale che all’interno delle stesse università non si ha proprio il materiale per poter crescere futuri professionisti informati perché gli stessi professori hanno difficoltà ad accedere al materiale.

“Esiste la necessità di approfondire i percorsi lunghi e problematici che queste persone devono affrontare per ritrovare la propria pace e il proprio equilibrio: una prima fase di approccio psicologico, con la presa di coscienza della propria situazione, l’outing ai familiari, che, pur magari riuscendo oggi ad accettare l’omosessualità, fanno molta fatica, invece, ad accettare il cambio di sesso, infine la fase endocrinologica, gestita dallo specialista, e quella della trasformazione chirurgica vera e propria”. 

Questo è un paragrafo dell’articolo scritto sul sito dell’ordine. Poche righe. Molti errori.

Mi piacerebbe quindi far notare che i “percorsi lunghi e problematici” sono innanzi tutti quelli da casa a scuola, da casa al lavoro, a volte anche dalla propria camera all’ingresso di casa per poter uscire vestiti come si vuole.

Mi piacerebbe far notare che le persone trans perdono la loro pace e il loro equilibrio via via trovandosi immersi in una società che ignora e opprime e non accetta nulla che non sia normativo. In una società che è strutturata affinché tutti vengano ridotti a esseri uguali tra loro, senza nutrire le differenze né nutrirsi di esse come valore aggiunto.

Mi piacerebbe far notare che in paesi come la Spagna, dove io vivo da due anni, in cui esiste un protocollo medico depatologizzante e di rapido e sopratutto sicuro accesso e dove la società è organizzata in modo tale che non vi siano discriminazioni, molto spesso le persone trans non sviluppano alcun rifiuto di loro stessi, non devono “accettarsi”, ma non devono fare altro che vivere con qualche accortezza in più rispetto alle persone cis.

Mi piacerebbe far notare che dire “fare outing ai famigliari” significa che i famigliari sono gay o trans o che ne so e uno lo dice a tutti senza il loro permesso. Non credo fosse quello che qui si intendeva che andava invece espresso dicendo che fare COMING OUT è difficile.

Forse sto scrivendo in modo antipatico ma davvero io apprezzo che ci si occupi della questione e soprattutto che ci si renda conto che è una questione NON trattata che porta tante persone a vivere in grande sofferenza. Quello che vorrei fare è esortare chi decide di affrontare la cosa investendo anche soldi in un convegno a non iniziare a scendere per la pista con gli sci del 1870 perché siamo nel 2019 e tante cose sono cambiate grazie al cielo. E farebbe solo onore a tutti mettersi al passo coi tempi.

Le persone Trans sì hanno bisogno che si sappia come affrontare il percorso medico (che andrebbe snellito di molto) ma hanno innanzitutto bisogno che tutti ci impegnano seriamente a cambiare l’occhio di chi guarda e il cambiamento avviene informandosi per poi informare. Perché finché la società resterà chiusa, binaria, opprimente nulla cambierà mai veramente.

Mi piacerebbe così invitare gli organizzatori del convegno a contattare il progetto Genderlens, chiedendo la nostra guida per esempio, che vi invieremo molto volentieri. Crediamo infatti che solo collaborando tra noi possiamo crescere e cambiare qualcosa. E mi piacerebbe invitare gli organizzatori a leggere cosa dice Paul Preciado, uomo trans e filosofo:

Il coraggio di essere sé 

Quando ho ricevuto questo invito a parlare del coraggio di essere me, all’inizio il mio ego ha fatto le fusa. Come se gli avessero offerto una pagina pubblicitaria di cui sarebbe stato l’oggetto e al tempo stesso il fruitore. Mi vedevo già una medaglia al petto, eroica. Poi il ricordo degli oppressi mi ha assalito e ha cancellato ogni compiacimento.

Oggi mi concedete il privilegio di evocare il “mio” coraggio di essere me, dopo avermi fatto portare il fardello dell’esclusione e della vergogna per tutta la mia infanzia. Mi offrite questo privilegio come regalereste un bicchierino a un malato di cirrosi, negando al tempo stesso i miei diritti fondamentali in nome della nazione, confiscando le mie cellule e i miei organi per la vostra delirante politica. Mi accordate questo coraggio come se regalaste qualche gettone a un malato di gioco d’azzardo, continuando a rifiutare di chiamarmi con un nome maschile o di accordare il mio nome con aggettivi maschili, solo perché non ho i documenti ufficiali necessari né la barba.

Ci riunite qui come un gruppo di schiavi che hanno saputo allungare le loro catene ma che rimangono sempre più o meno disponibili, hanno ottenuto i loro diplomi e accettano di parlare la lingua dei maestri. Siamo qui, davanti a voi, tutti nati in corpi femminili, Catherine Millet, Cécile Guibert, Hélène Cixous, sporcaccione, bisessuali, donne dalla voce roca, algerine, ebree, virago, spagnole. Ma quando vi stuferete di assistere al nostro “coraggio” come se fosse un divertimento? Quando vi stuferete di differenziarci per identificare voi stessi?

Mi attribuite del coraggio, immagino, perché mi sono battuta a fianco delle puttane, dei malati di aids e degli invalidi. Nei miei libri ho parlato delle mie pratiche sessuali con vibratori e protesi. Ho raccontato la mia relazione con il testosterone. Questo è il mio mondo, è la mia vita e l’ho vissuta non con coraggio, ma con entusiasmo e gioia. Ma voi non sapete nulla della mia gioia. Preferite compatirmi e mi attribuite del coraggio perché nel nostro regime politico-sessuale, nell’imperante capitalismo farmacopornografico, negare la differenza del sesso è come negare l’incarnazione di Cristo nel medioevo. Mi attribuite un grande coraggio perché oggi, di fronte ai teoremi genetici e ai documenti amministrativi, negare la differenza sessuale è come sputare in faccia a un re nel quindicesimo secolo.

E mi dite: “Parlaci del coraggio di essere te”, come i giudici del tribunale dell’inquisizione hanno detto a Giordano Bruno per otto anni: “Parlaci dell’eliocentrismo, dell’impossibilità della Santa Trinità”, mentre raccoglievano la legna per il rogo. Ma anche se vedo già le fiamme, penso come Giordano Bruno che non sarà sufficiente un piccolo cambiamento di rotta, che si dovrà cambiare tutto, far esplodere il campo semantico e il dominio pragmatico. Uscire dal sogno collettivo della verità del sesso, così come si è usciti dall’idea che il Sole giri intorno alla Terra.

Per parlare del sesso, del genere e della sessualità bisogna cominciare con un atto di rottura epistemologica, una sconfessione categorica, una spaccatura della colonna concettuale che faccia sbocciare un’emancipazione cognitiva. Bisogna abbandonare completamente il linguaggio della differenza e dell’identità sessuale (anche il linguaggio dell’identità strategica di Spivak, o dell’identità nomade di Rosi Braidotti). Il sesso e la sessualità non sono una proprietà essenziale del soggetto, ma il prodotto di diverse tecnologie sociali e discorsive, di pratiche politiche di gestione della verità e della vita. Il prodotto del vostro coraggio.

Non esistono i sessi e le sessualità, ma gli usi del corpo riconosciuti come naturali o puniti in quanto devianti. E non serve giocare la vostra ultima carta trascendentale, la maternità come differenza fondamentale. La maternità è solo uno tra i diversi usi possibili del corpo, non è la garanzia della differenza sessuale né della femminilità.

Tenetevi quindi il vostro coraggio. Tenetelo per i vostri matrimoni e divorzi, per i vostri inganni e le vostre bugie, per le vostre famiglie, per la vostra maternità, per i vostri figli e nipoti. Tenetevi il coraggio di cui avete bisogno per seguire la norma. Il sangue freddo di prestare il vostro corpo all’incessante processo di ripetizione regolata. Il coraggio, come la violenza e il silenzio, come la forza e l’ordine, sono dalla vostra parte. Al contrario, io rivendico oggi la leggendaria mancanza di coraggio di Virginia Woolf e di Klaus Mann, di Audre Lorde e di Adrienne Rich, di Angela Davis e di Fred Moten, di Kathy Acker e di Annie Sprinkle, di June Jordan e di Pedro Lemebel, di Eve K. Sedgwick e di Gregg Bordowitz, di Guillaume Dustan e di Amelia Baggs, di Judith Butler e di Dean Spade.

Ma visto che vi amo, miei coraggiosi simili, vi auguro di perdere anche voi il coraggio. Vi auguro di non avere più la forza di ripetere la norma e di fabbricare l’identità, di perdere la fede in quello che dicono i vostri documenti su di voi. E una volta che avrete perso il vostro coraggio, stanchi di gioia, vi auguro di inventare un modo per l’uso del vostro corpo. Proprio perché vi amo, voglio che siate deboli e disprezzabili. Perché è attraverso la fragilità che opera la rivoluzione.

4 thoughts on “Perché ripartiamo sempre da Adamo ed Eva?

  1. Grazie Camilla per questa presa di posizione.
    A Torino il centro che si occupa di qesta realtà si chiama ancora CIDIGEM, Centri Interdipartimentale per i disturbi di identità di genere.
    Quando ho detto ai miei amici e amiche che ho preso appuntamento da loro mi hanno guardata e detto :”Ma il tuo non è un disturbo!” intendendo ovviamente che non la considerano una patologia. Forse anche questo Centro dovrebbe cambiare denominazione.
    Un abbraccio
    Veronica

  2. Grazie Camilla, ho apprezzato molto questo tuo scritto, che ci invita alla riflessione e alla rivoluzione. Rivoluzione di pensiero personale in primo luogo. Grazie

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