E se mio figlio vuole essere un gatto?

Mi sono fatta una vera e propria scorpacciata di cazzate in questi ultimi giorni. Scusate il termine ma proprio non saprei come altro definirle.
Nella contestazione insorta sulla libertà dei nostri figli, la confusione principale è tra educazione, intesa come buone maniere, e l’essere intrinseco dei nostri figli.

La domanda che spesso viene fatta quando si parla di identità di genere è: “ma quindi se mio figlio si sente un gatto io devo farlo essere un gatto?” Oppure “quindi se mio figlio si sente di dare un morso a un altro bambino devo lasciarlo mordere?” e domande ben peggiori che non voglio riscrivere perché non vorrei lanciare idee a quei cretini che ne hanno già abbastanza.
L’identità è CHI siamo. L’educazione è COME ci comportiamo. Il ruolo del genitore è quello di crescere un figlio nella piena libertà e consapevolezza di se stesso, ma educandolo al rispetto del prossimo e quindi a non fare ciò che può essere lesivo della libertà altrui. Mordere un bambino non si fa. Trattare male il prossimo non si fa. Essere se stessi SI. Si DEVE!
Certo che se la persona è un delinquente, rimane un delinquente, ma questo prescinde dalla questione che stiamo trattando.
Da genitori bisogna sapere distinguere anche tra fantasia e realtà! Tra ciò che può essere qualcosa che causa un reale disagio ai nostri figli e ciò che invece rappresenta solo un gioco di ruoli.
Mi sono iscritta all’associazione spagnola Chrysallis che mi ha ammesso alla chat del gruppo whatsapp di tutte le famiglie, 136 per l’esattezza sparse per tutto il paese. Ci siamo presentati, ognuno coi nostri figli e ci siamo scambiati le foto. Tutti i nostri bambini erano bambini e basta. Sì ce n’era una vestita da gattina, ma era una foto del carnevale dell’anno passato, quindi tutto regolare! E’ stato meraviglioso vedere che tutti questi bambini e ragazzi sono semplicemente bambini e ragazzi. Tutti felici e sorridenti. Nell’insieme di maschi e femmine, non sapresti assolutamente dire chi sotto i pantaloni o la gonna o il vestito abbia o meno un pisello!
Possibile che nel 2017 una persona e addirittura un bambino debba essere giudicato da cosa ha sotto i vestiti e se i vestiti corrispondono a cosa ha sotto gli stessi?
Quale danno potrebbe essere inferto al prossimo dalla non corrispondenza tra comportamento e stereotipi quando il comportamento è educato e rispettoso?
Quale libertà viene tolta al prossimo se a mio figlio piace il rosa?

Sono andata a fare shopping per mio figlio un po’ di giorni fa. Lui ha preferito rimanere a casa perché credo che ormai non ci trovi più molto gusto nel dover “seminare” la commessa all’interno del negozio perché non lo convinca che anche nel reparto da maschio ci sono cose carine e colorate. Non è quello il punto per mio figlio.
Sono andata a fare shopping insieme all’altro mio figlio più piccolo, il quale mi ha, come nulla fosse, accompagnato nel reparto da femmina e mi ha aiutato a scegliere un bel po’ di cose per L.: tre vestitini, una gonna, un paio di shorts con le paillettes, le scarpe coi brillantini. Mi chiamava e mi diceva “Mamma: guarda! Questo sicuro gli piace!”
Tornati a casa L. ci è corso incontro. “Accidenti! Quante cose avete comprato!” Suo fratello ha tirato fuori i capi ad uno a uno felice di essere lui a mostrarglieli e L. ha iniziato a provarseli e a cantare! Ha canticchiato tutto il giorno ed è stato tutto il giorno con quello che credo abbia scelto come suo vestito preferito!
La nostra famiglia, i miei figli sono cresciuti così e questa è la nostra “normalità”, ma è anche la normalità di chi ci conosce e di tutte le famiglie come la nostra.
Il punto è sempre stabilire che cosa sia “normale” e che cosa no.
George Canguilhem, filosofo francese del 20esimo secolo sosteneva che cercando di cogliere il senso del concetto di “normalità” i filosofi del 19esimo secolo, non avevano tenuto conto dell’importanza della biologia evolutiva riguardo alla variabilità degli organismi. Canguilhem sosteneva che non importava quanto raro o anomalo un individuo potesse sembrare, poteva comunque essere considerato “normale” se il suo comportamento gli garantiva la sopravvivenza in un determinato ambiente. In breve sosteneva che la “normalità” dipende dal contesto. Ciò che è normale per un individuo può essere insopportabile per un altro, e che un individuo può essere assolutamente normale in un ambiente, ma non in un altro. Anche la  medicina secondo lui avrebbe dovuto tener conto di questi fattori, e proponeva quindi un approccio induttivo alla stessa. Questo era assolutamente in contrasto con la medicina del 19esimo secolo e con l’idea, esistente ancora oggi, che vede i concetto di “normalità” come una qualità prefissata. Tutto questo fu chiamato “naturalizzazione” e offriva una nuova prospettiva che suggeriva che la medicina non dovesse implementare vecchie norme o cercare di conformare gli individui a un’unica idea che andasse bene per tutti, poiché in molti casi potrebbe darsi che l’intervento più idoneo da fare sia cambiare l’ambiente e non l’individuo che non sta bene Lo stesso termine “normale”, secondo il filosofo Ceco Vácha nel 1978, poteva letteralmente voler dire molte cose differenti. Poteva essere inteso come “frequente” se usato nel senso di essere la cosa più comune all’interno di una popolazione data (tipo gli occhi marroni per i popoli mediterranei e gli occhi azzurri per quelli nordici), oppure poteva voler dire “nella media” se inteso in senso matematico come per dire “altezza nella media” “peso nella media”  di una popolazione, come rappresentata nella curva gaussiana (grafico a campana di Gauss); oppure poteva voler dire “tipico” per rappresentare un aspetto specifico di un gruppo. Qualche volta “normale” poteva anche significare “privo di difetti” ; in altri casi voleva dire “ottimale” nel senso di “funzionante nella maniera giusta”. E ancora poteva rappresentare “l’ideale platonico”. Ma dopo tutte queste definizioni di “normale” esisteva quella più comune, che esiste anche oggi: “normale” è ciò che ci si aspetta! (https://aeon.co/essays/is-it-time-to-abandon-the-medical-construct-of-being-normal)

La “normalità” come concetto stesso quindi è variabile.
I bambini che hanno uno sviluppo atipico della loro identità di genere non sono altro che una meravigliosa variante di qualcosa che di base rimane la stessa e cioè “un bambino”!
Mio figlio dopo aver indossato il suo vestito preferito si è divertito a giocare col suo pungiball, poi ha giocato un po’ al tablet, ha fatto una partita a mercante in fiera coi fratelli, ha cenato ed è andato a dormire dopo essersi lavato i denti esattamente come tutti gli altri.

7 thoughts on “E se mio figlio vuole essere un gatto?

  1. Siccome io sono uno di quegli ignorantoni, neolitici, ancorati alle poche certezze alle quali ci ha costretto la nuova voga del relativismo imperante, (lo dico senza voler far polemica, ma accetando la velocità evolutiva dei nostri figli), penso che sia però doveroso dire la mia, se si avrà la bontà di ascoltarmi.
    Non voglio litigare, non voglio discutere inutilmente, non voglio primeggiare in battaglie euristiche, voglio solo capire, capire, capire, e siccome la nostra misera società si sta dicotomizzando in posizioni manichee per le quali o si è pro o si è contro, cerco di stare nel mezzo, facendo torto a tutti, tranne alla mia sete di conoscenza e la mia devozione alla sincerità.
    Penso che un figlio, fin quando non nuoce a se stesso o gli altri, debba fare ciò che sente, e il genitore debba (nei limiti), non solo assecondarlo, ma sopratutto incoraggiarlo. Questo l’ho compreso nel mio personale percorso da figlio e non da padre.
    Quando mia figlia a tre anni mi ha chiesto di vestirla per carnevale da pirata, l’ho assecondata comprandole spada, bandane e benda per gli occhi. Quando mi dice che le piace il rosa, le rispondo che a me non piace molto rimanendo fedele al mio precetto di sincerità. Quando le presento un piatto di carne, nonostante lo mangi di gusto, mi dice sempre “poverino il maialino” oppure “poverino il pollo”, le rispondo che da grande sarà una integerrima vegana. Quando le faccio il bagnetto e le dico, per scherzo, lavati il pisellino, lei mi rimprovera dicendo che ha la patatina. Alle volte e lei a provocarmi dicendo che io ho la patatina (“per scherzo babbo!”). Semplice.
    Semplice.
    Semplice come i bambini.
    Semplice come le scelte di tuo figlio. Ama il rosa e le gonne? Se le metta, che problema c’è? È bello così. L’importante è che sia felice.
    La mia arretratezza fin qui non si nota. ( o forse tu l’hai già odorata)
    Ma, e qua, ti prego non giudicarmi male, tutta la mia ignoranza vien fuori, se mia figlia dovesse, un giorno, dirmi, io sono un maschio, ti giuro che con tutta la dolcezza e la bontà che un padre può volere alla propria figlia le risponderei, no un maschio, per me, non sei. Forse diventerai una sorta di maschio con diverse operazioni chirurgiche (e farò di tutto affinché possa operarsi se da ciò dovesse dipendere e passare la sua felicità) forse hai in te un forte carattere maschile, forse ti piacciono le ragazze (non c’è nesso alcuno, a mio avviso, tra omosessualità e “genere-fluido”) forse ami il blu e giochi a rugby (perdona se sto terra-terra), ma maschio non sei.
    Sei Altro, ok.
    Ma non maschio.
    Per la mia misera visione del mondo, no, non per me.

    Siamo, forse, difronte ad una differente interpretazione del genere.
    E dinnanzi questa nuova visione non posso, non devo e non riesco a venir meno al precetto di cui prima: la sincerità.

    Ok vestiti come vuoi, fai ciò che vuoi, sentiti ciò che vuoi, ma non imporre, così come non faccio io con te, che ti accetto per quel che sei, la tua verità agli altri.
    Sembrerò davvero, arcaico, lo so, ma se un maschio ha il pisello, ha il pisello. Punto.
    Se poi vogliamo dare una nuova definizione di maschio e di femmina ok, va benissimo, ma allora cambiamo il nome anche al “vecchio”, così come al “nuovo”.
    Forse sono stato un po’ confusionario.
    Potrei portare l’esempio astronomico del declassamento del pianeta Plutone: per farlo gli astronomi hanno dato una nuova definizione di pianeta, nella quale il piccolo astro non rientrava più.
    Un simile approccio, mutuato dall’astronomia, sarebbe sostenibile, non solo perché smetteremmo di battagliare con le definizioni, ma anche perché nelle medesime potremo riconoscerci senza disagio.
    Voglio dire, che se un cachi è un cachi, chiamiamolo cachi, non mandarino.
    Se lo chiamiamo mandarino creremmo solo inutile confusione.
    Se notiamo in lui caratteristiche del mandarino e del cachi contemporaneamente, beh allora saremmo davanti a qualcosa di nuovo, ma ti prego, non chiamiamolo ne mandarino ne cachi!

    Ergo, se mia figlia con tutte le caratteristiche di una femmina mi dovesse dire sono un maschio, ok, lo puoi dire, lo puoi affermare, lo puoi urlare al mondo e combattere per essere riconosciuta come tale, ma per quanto mi riguarda non lo sei.
    È un problema molto più complesso della semplice accettazione di ciò che una donna o un uomo sente di essere, è un problema che riguarda le definizioni e la libertà assoluta di poter dire e fare ciò che si vuole.(proprio come l’esempio balordo del gatto. Ma anche l’affermazione che il gatto si fa il bidé con la lingua è una risposta altrettanto bassa, alla quale si potrebbe ribattere, involvendo nella comprensione del discorso assai complesso, tirando fuori: pene, vagina, mestruazioni, sperma, barba, peli, alopecia, ecc ecc..)
    Spero di non aver offeso nessuno, e spero davvero di ricevere risposta.
    Vorrei solo capire.
    Non mi piace il clima intorno a queste discussioni, sento che si tratta spesso di una sterile contrapposizioni di parti che si snobbano e si fan guerra. Invece io vorrei solo comprendere, non finirò di ripeterlo.

    Detto questo, aggiungo, concludendo e uscendo fuori tema, o forse no, che chi cerca simboli apotropaici in un prato, lo fanno aguzzando la vista per trovare quella meravigliosa mutazione genetica che è il quadrifoglio.
    Grazie.
    🙂

    1. Caro Luciano, trovo in effetti in te un tono diverso da quello che incontro spesso in questo genere di discussioni e quindi sono incoraggiata a risponderti. Mi pare, da ciò che scrivi, che ti basterebbe un cambiamento di definizione maschio/femmina, per accettare che un bambino biologicamente maschio si affermi femmina, perché per ora la definizione è basata sulla biologia. Che dire, forse il momento verrà in cui si riuscirà a leggere il genere di ognuno nella psiche, nel cervello, più che nelle mutande, non è ancora così, ma non vuol dire che siccome la definizione ancora non è quella giusta, non lo sia l’afflato. Se tua figlia ti dicesse, con convinzione che dura nel tempo, “sono maschio” sarebbe la sua realtà e quindi la sua sincerità, non un’imposizione, non trovi? Siamo un’umanità in evoluzione, persino il costume da pirata di tua figlia sarebbe stato scandaloso e inaccettabile qualche decennio fa, e pensa che ancora lo è in qualche luogo del mondo! Teniamoci più alle persone, piuttosto che alle definizioni, per orientarci in questa evoluzione, ché le definizioni cambiano col tempo, il sentire di ogni persona è presente e vero e, se non ci sono violenze né soprusi, è così più semplice accogliere, che rifiutare il sentire dell’altro perché mette sbaraglio tra le nostre convinte definizioni…

  2. Mio figlio L. non “voleva essere” qualcos’altro o qualcun altro, ma “era” qualcuno.
    Era lui.
    Lui che fuori sembrava “normale”, ma che in casa, appena poteva, si divertiva con sua sorella “a giocare alle signore”, mettendosi i vestiti (e le scarpe!) delle nonne o della mamma.
    Me lo ricordo con affetto, divertimento e nostalgia, che inciampava col sandalo-gioiello nell’orlo della gonna.
    Mio suocero non voleva, e allora il gioco si faceva preferibilmente quando lui non c’era. Per me stava esplorando la sua parte femminile e non vedevo perché ostacolarlo.
    Poi ci ho messo un altra quindicina d’anni abbondanti, a capire che avevo un figlio gay (colpa mia, ché i segnali li avevo avuti tutti ma il “senno di prima” non mi era bastato per fare due più due).
    Quando poi trovò la forza di dirmelo, ricordo che gli risposi (forse dopo un sospiro, questo non lo ricordo): “Be’, sempre meglio che juventino, dài”.

  3. Ho girato per settimane in casa con attaccata ai pantaloni una lunghissima coda di corda, guai se qualcuno distratto la pestava; gridavo e mi disperavo. Volevo essere un “Martagone” personaggio fantastico di fumetti di quando ero bimba. Ho “tormentato abbastanza a lungo la famiglia tanto che a distanza di più di cinquant’anni mia sorella ancora se ne ricorda.
    Auguri sinceri per la tua battaglia di civiltà, oggi nel nostro mondo occidentale credo si importante quanto mai difendere il diritto delle persone di scegliere cosa essere senza per questo venir additate in alcun modo. L’Italia non brilla certo di civiltà per nessuno dei temi etici che oggi bisognerebbe affrontare Auguri a tuo figlio di crescere abbastanza forte da poter zittiri tutti i cretini.

  4. Mi spiace intromettermi come un osservatore esterno troppo curioso, io per natura sono “dissidente” con tutto, la mia maestra mi chiamava spesso signor no! Ho appena letto un testo su ciò che viene definito Autismo, scritto da una professoressa anche lei autistica: alla fine le diversità sono ricchezze se sappiamo dare ai ragazzi la possibilità di esprimere sé stessi, trovando in noi degli aspetti utili e apprezzati dagli altri. Per me non ci sono generi o intelligenze ma variabilità: da questo dipende il successo evolutivo della nostra specie! Scusandomi ancora in bocca al lupo!

  5. sono fortunato. vivo in un luogo tollerante, tecnologicamente e culturalmente avanzato rispetto al resto del mondo. in Italia occorrerebbe togliere secoli di medioevo e di imposizioni religiose, per non parlare di politiche di vantaggio personale e non del cittadino, per poter forse sperare di avvicinarsi a questo mio mondo capace di comprendere che un bambino debba innanzitutto riuscire a crescere felice, qualsiasi sia il suo punto di vista sessuale. a noi cosa cambia se a un bambino piacciono le bambine o i bambini? se si vuol vestire in rosa o in nero? cosa cambia se un adulto sia o meno omosessuale? o se non lo sia? se si faccia i tatuaggi o abbia piercing o si voglia lanciare col paracadute o se volesse andare a cantare a sanremo? sono veramente questi i problemi della vita? La mafia, i politici corrotti, il buco nell’ozono, i preti pedofili, il cancro, etc… ma i problemi in Italia sono quelli GENDER (che parola ridicola).

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